Le polemiche attorno al mondiale
Violazione dei diritti umani, morti sul lavoro, corruzione: sono i tre argomenti principali del vespaio di polemiche che ronza attorno al mondiale. Partendo dalla chiacchieratissima assegnazione, avvenuta nel 2010 quando la Fifa era il regno di Re Blatter, che pure aveva sollevato più di un dubbio sull’opportunità della scelta. Possiamo ora dire, senza timore di essere smentiti, che il Qatar si è aggiudicato quella nomina facendo girare bustarelle a destra e a manca tra i componenti del board della Federazione.
Omosessualità, diritto del lavoro e diritti delle donne
C’è poi la questione dell’omosessualità, ancora oggi reato all’interno dei confini dell’emirato, e dei diritti delle donne, sui cui, usando un eufemismo, possiamo dire che abbiano una sensibilità diversa dalla nostra. E ancora lo scandalo delle migliaia di persone morte per costruire stadi all’avanguardia che permettessero di giocare nonostante le temperature elevatissime di questa regione desertica. Si tratta in massima parte di immigrati, ai quali non viene riconosciuta la cittadinanza e che perciò vivono e lavorano in condizioni prossime alla schiavitù.
Le aziende che hanno espresso il loro dissenso
Fatta questa lunga premessa, non è difficile intuire perché tante aziende abbiano voluto tenersi alla larga dalla manifestazione. è il caso, ad esempio, del marchio di abbigliamento sportivo Hummel, che ha realizzato le divise della Danimarca. Hummel ha deciso di non includere alcun logo o altro marchio visibile, esplicitando attraverso i social il perché della scelta: Questa maglia porta con sé un messaggio. Non vogliamo essere visibili durante un torneo che è costato la vita a migliaia di persone. Sosteniamo la Nazionale danese fino in fondo, ma non il Qatar come nazione ospitante”.
Il caso di Budweiser cacciata dagli stadi
Altri brand, tra gli storici promotori dei mondiali, si sono trovati ad aver sborsato delle vere e proprie fortune per essere poi escluse dagli stadi. È il caso della famosa marca di birre americana Budweiser, che nonostante i soldi sborsati, e le rassicurazioni avute in merito, ha saputo a 24 ore dall’inizio del torneo che non avrebbe potuto vendere le sue birre durante le partite, né nelle ore precedenti e successive ad ogni match. Non c’è che dire, bella riconoscenza per aver lautamente finanziato il torneo. Gli addetti al marketing hanno provato comunque a salvare il salvabile, facendo sapere che avrebbero regalato l’intero carico di birre non vendute alla nazionale che si aggiudicherà il mondiale.
La mossa vincente di BrewDog
Un altro famoso marchio di birre, la britannica BrewDog, ha fatto forse la mossa migliore. Per sottolineare la propria avversione (diciamocelo, piuttosto opportunistica) alle leggi Qatariote, si è proposta come “antisponsor” del mondiale, attraverso un lungo post in cui spiegava dettagliatamente, e in modo molto tagliente, qual è la sua posizione sulle polemiche.